Le culture dell’Adda intrattengono un millenario colloquio col fiume. Una decisiva ragnatela d’acqua sostiene l’economia di questa valle, se potente è colui che possiede non latifondi ma concessioni idriche. Sulla riva, l’Adda convoca antiche cartiere, mulini, falegnamerie, tessiture che da fine Ottocento le centrali idroelettriche accelerano in attività industriali: gli impianti Edison di Cornate d’Adda, quello Enel di Trezzo sull’Adda, il villaggio operaio di Crespi d’Adda, la cartiera ex-Binda e la Velluti Visconti di Modrone di Vaprio d’Adda, il Linificio Canapificio Nazionale di Fara d’Adda e Cassano d’Adda. Le località rivierasche, dove l’economia si sgranchisce da agricola a industriale, portano nel nome il proprio segreto d’acqua: mettono al lavoro la dea Adda; mutano in dispositivo idraulico il fiume, che i Celti veneravano in figura di capricciosa divinità. Questa conversione dal sacro all’operoso scandisce un dramma storico in tre atti.
Sacri-ficio
L’Adda è una liquida ninfa, davanti a cui inginocchiarsi tremanti. Le sue acque irruenti appartengono agli dèi e non all’uomo, cui è proibito manometterle. Al cielo, egli tributa in libagione la grata parte di qualsiasi bene estragga dalla natura.
Opi-ficio
I mortali addomesticano il fiume, che diventa risorsa laica: l’acqua non è più abitata dagli dèi ma si offre al più efficiente sfruttamento. L’uomo modifica l’Adda a immagine e somiglianza delle proprie esigenze irrigue, di navigazione e industriali.
Arti-ficio
Dall’Adda mistica e intoccabile (sacrificio) a quella offesa e saccheggiata (opificio), l’arte può dare sintesi a queste opposte esperienze, mettendole in equilibrio? È possibile ricollocare artisticamente l’ansia produttiva dell’industria nell’antico rispetto per un fiume sacro?